| Maria Adelaide Marchesoni

Julia Stoschek Collection

Collezionare opere multimediali

Una delle più grandi collezioniste di videoarte al mondo, la tedesca Julia Stoschek, ha iniziato la digitalizzazione della sua raccolta di oltre 860 opere di 282 artisti per renderla fruibile online, gratuitamente e senza restrizioni. Al momento sono state pubblicate 63 opere di 21 artisti tra cui John Bock, Keren Cytter, Nathalie Djurberg & Hans Berg, Fischli & Weiss e Tobias Zielony. Un'iniziativa che intende contribuire alla digitalizzazione di questa forma d'arte che a fatica entra nelle collezioni private.

Spesso, infatti, i collezionisti sono scettici nei confronti di questo mezzo espressivo per problemi legati alla  fruizione, conservazione, commercializzazione  e anche al tempo necessario per apprezzarla (a volte ore). Ebbene, Julia Stoschek, figlia del miliardario Michael Stoschek, attivo nel business della componentistica per automobili Brose GmbH, è di un altro avviso. 

Nathalie Djurberg & Hans Berg, It Will End in Stars, 2018, virtual reality. Courtesy of the artist and Acute Art

Julia Stoschek, classe 1975, colleziona video e performance art da quando aveva vent'anni. Sebbene la prima opera che ha comprato sia stata un dipinto dello spagnolo Pep Agut, acquistato in occasione di una fiera nel 2003, Julia Stoschek ha subito capito che la sua strada era un'altra. Nello stesso anno, infatti, ha deciso di concentrarsi sul video dopo aver visto il video di Douglas Gordon "Play Dead: Real Time" (2003) da Gagosian a New York - un'installazione video di grandi dimensioni in cui un elefante si finge morto. 

"Il mio obiettivo" ha dichiarato Julia Stoschek "è quello di creare un'immagine della condizione culturale e sociale della mia generazione. L'immagine in movimento riflette l'effimero, che è un tratto distintivo del nostro tempo. Questo è uno dei motivi per cui la mia attenzione si è rivolta all'arte e alle performance time-based". Opere che si svolgono nel tempo, in cui la durata è una dimensione.

Già a partire dal 2007 Julia Stoschek ha aperto la sua collezione pubblico con l'istituzione di uno spazio museale a Düsseldorf, JSC Düsseldorf, al quale si è aggiunto nel 2016 un secondo spazio a Berlino, JSC Berlin. L'edificio di Düsseldorf risale al 1907. Si tratta di un esempio di moderna architettura industriale che nei decenni è servito a diversi scopi, per cui riflette come l'industria si sia evoluta nel corso del XX secolo. Al suo interno c'è stato un laboratorio teatrale prima della guerra, poi una fabbrica di motori e lampade, un impianto di produzione di corsetti e materassi, l'industria del metallo e del legno a scopi militari,  fino ad una fabbrica di cornici nel  dopoguerra. La ristrutturazione è avvenuta nel 2007 su progetto di Kuehn Malvezzi, uno studio di Berlino fondato nel 2001 dall'italiana Simona Malvezzi e dai tedeschi Johannes e Wilfried Kuehn, specializzato in architettura museale.

L'edificio di Berlino, invece, si trova all'interno dell'ex-Istituto Culturale Cecoslovacco, una struttura degli anni '60 che conserva tutto il fascino della ex-Berlino Est e che fungeva da libreria, cinema e ufficio amministrativo. La ristrutturazione è stata affidata ad un altro studio di Berlino, Meyer-Grohbrügge, fondato nel 2015 da Johanna Meyer-Grohbrügge.

Jen DeNike, Girls like me, 2006, video, 6′, color, sound. Video still. Courtesy of the artist and Anat Ebgi Gallery, Los Angeles

La collezione di Julia Stoschek traccia la storia della video arte a partire dalle opere sperimentali degli anni Sessanta fino alle espressioni più contemporanee, con la Computer Art e le nuove tecnologie. Un dialogo intergenerazionale che per la collezionista è molto importante. Le tematiche sono estremamente varie: i lavori in collezione affrontano questioni socio-politiche, identitarie, relative al corpo e alla sua rappresentazione, al rapporto tra l'ambiente costruito e il mondo naturale.

Per esempio, sono incluse nella raccolta le prime opere di cinema, video e performance di Bruce Nauman, Anthony McCall, Joan Jonas o Marina Abramović, le videoinstallazioni di Doug Aitken fino alle simulazioni live di Ian Cheng e agli ambienti di Hito Steyerl. Opere di artiste e pioniere della letteratura femminile e femminista degli anni 60-70, tra cui Dara Birnbaum, VALIE EXPORT, Barbara Hammer e Hannah Wilke, sono affiancate dai lavori di una generazione più giovane, che comprende Ed Atkins, Loretta Fahrenholz, Cyprien Gaillard, Josh Kline, Jon Rafman, Rachel Rose, Mika Rottenberg, Anicka Yi e Tobias Zielony.

Meriem Bennani, Party on the CAPS, 2018, Eight-channel video installation, 30’, color, sound. Video still. Courtesy of the artist and C L E A R I N G, New York / Brussels

A partire dallo scorso ottobre, Julia Stoschek ha anche avviato nel suo spazio a Berlino un programma espositivo di opere in realtà virtuale e realtà aumentata in collaborazione con Acute Art, un'organizzazione con base a Londra curata da Daniel Birnbaum dedicata alla produzione di questo tipo di opere d'arte. Il progetto è stato inauguarato con  opere di Bjarne Melgaard e Koo Jeong A, seguiti da Nathalie Djurberg e Hans Berg.

JSC Düsseldorf, l'esterno dell'edificio, fotografia di © Ulrich Schwarz, Berlin

JSC Düsseldorf, foyer al primo piano, fotografia di Şirin Şimşek, Cologne

JSC Düsseldorf, l'esterno dell'edificio, fotografia di Simon Vogel, Cologne

Una figura di mentore per Julia Stoschek è stato il collezionista di Amburgo Harald Falckenberg, che per primo le ha aperto gli occhi sulla possibilità che lei stessa diventasse una collezionista. Il suo approccio a questa passione è molto metodico: quando le interessa un artista, lo segue per anni e non acquista solo un'opera, bensì opere chiave della sua produzione e grandi installazioni per catturare l'essenza della sua poetica. In questo è molto tenace, perché il suo scopo è quello di mettere insieme una collezione di capolavori. Per farlo, è pronta ad aspettare anche anni, come è successo nel caso di un'opera di Francis Alÿs per la quale ha aspettato sette anni prima che il gallerista David Zwirner gliela vendesse, come ha raccontato in occasione di un'intervista al Financial Times.

Julia Stoschek non ama acquistare in fiera, dove è difficile concentrarsi sulle opere video. Si pone un budget annuale che non rivela e non considera l'arte un investimento, a maggior ragione perché la video arte praticamente non ha un mercato secondario. È, invece, attenta a sostenere lo studio di questa forma d'arte, infatti, nel 2019 ha istituito presso la sua collezione una residenza per curatori in collaborazione con il Center for Curatorial Studies del Bard College.

Colin Self, Siblings (Elation VI), 2018, live performance MoMA PS1, New York. Photo: Maria Barranova. © VG Bild-Kunst, Bonn 2019. Courtesy of the artist

Julia Stoschek è impegnata anche a livello istituzionale. Dalla fine del 2018 fa parte del Board of Trustee del MOCA di Los Angeles ed è Vice Chairwoman del KW Institute for Contemporary Art di Berlino. Ha donato tre importanti opere al MoMA: l'installazione a tre canali "Interiors" (2002) di Doug Aitken, l’installazione "The Killing Machine" (2007) di Janet Cardiff & George Bures-Miller e la performance "Stop, Repair, Prepare: Variations on Ode to Joy for a Prepared Piano, No.1" (2008) di Allora & Calzadilla. Ha sostenuto il Padiglione tedesco alla Biennale di Venezia in occasione della partecipazione di Christoph Schlingensief (2011), Hito Steyerl (2015) e Anne Imhof (2017).

L'anno scorso a novembre, in occasione della fiera Art Düsseldorf, ha unito le forze con altre tre collezioni importanti della zona del Reno, la Langen Foundation, la KAI10 Arthena Foundation e la Philara Collection, nell'iniziativa Rhineland Independent per sostenere una presentazione di poster delle Guerrilla Girls dal 1985 al 2018.

Julia Stoschek, fotografia di Peter Rigaud

Morehshin Allahyari, She Who Sees The Unknown: Aisha Qandisha, 2018, 7’14’’, color, sound. Video still. Courtesy of the artist