17/11/2019 | Maria Adelaide Marchesoni

Seven Gravity Collection

Sette collezionisti italiani dal 2013 acquistano in gruppo opere di video arte e assegnano il premio Visio per talenti emergenti durante il festival Lo Schermo dell'Arte di Firenze

Effimero, riproducibile, di nicchia. Il video è un linguaggio artistico che, nonostante queste criticità, appassiona sempre più collezionisti. Negli ultimi anni anche quelli più inclini alle espressioni artistiche “tradizionali” hanno perso il timore di acquistare video arte e hanno “ringiovanito” la collezione. Il video è infatti espressione della contemporaneità e dai primi anni 2000, con la nascita di Youtube, sempre più artisti visivi – anche in Italia – si sono avvicinati alla sperimentazione nell’ambito delle immagini in movimento. Oggi, nell’era della digitalizzazione e di Internet, la divulgazione e la circolazione delle opere video attraverso computer e smartphone è inarrestabile.

Tuttavia i prezzi per i video possono raggiungere cifre elevate, soprattutto nei casi di installazioni più complesse. Condividere questa passione può favorire l’acquisto, come nel caso di sette collezionisti italiani d'arte contemporanea, molto attivi singolarmente ma non sul medium video, che dal 2013 hanno avviato una collezione condivisa dedicata alla video arte, la Seven Gravity Collection.

"Il video, oltre al costo e ad altre peculiarità che lo rendono poco collezionabile per molti," spiega Diego Bergamaschi, uno dei Seven (gli altri rimangono anonimi), "presenta anche degli elementi che possono accomunare intorno alla passione nei confronti di questa forma d'arte, ovvero il tempo per fruire l’opera, o anche la semplice condivisione del supporto tramite USB o CD".

Polina Kanis, The Pool, 2015, Courtesy l’artista, fotografia di Federica Di Giovanni

Per condividere una collezione occorre, però, avere delle regole ben precise. "L’acquisizione avviene con un budget annuo fissato in sede di costituzione, suddiviso in parti eguali che i sette fondatori si sono impegnati a versare ogni anno".  Il primo acquisto è avvenuto nel 2013, un’opera video 3D di Trisha Baga esposta nella sua prima personale in Italia da Peep-Hole a Milano. Da allora Seven Gravity ha acquistato 13 titoli di artisti internazionali mid-career ma anche esordienti.

Nell’ultimo anno Seven Gravity Collection ha deciso di fare un ulteriore passo per l’ampliamento della collezione. "Gli ultimi due lavori acquisiti – ci spiega Bergamaschi - che a breve entreranno a far parte della collezione sono stati co-prodotti insieme all’artista e questo ci rende molto felici e soddisfatti del ruolo che la collezione sta acquisendo nel settore video delle arti visive".

Dal 2015 Seven Gravity Collection ha deciso di collaborare con Lo Schermo Dell’arte Film Festival, una manifestazione che dal 2008 si svolge a Firenze per esplorare e promuovere le relazioni tra arte contemporanea e cinema. In particolare Seven Gravity Collection ha lavorato con Leonardo Bigazzi, curatore del festival, contribuendo alla trasformazione di VISIO, un workshop collaterale a Lo Schermo dell’arte, dando vita a un premio di acquisizione  dedicato a video artisti under 35, il VISIO Young Talent Acquisition Prize, che include una mostra dei lavori dei 12 finalisti.  "Questa partnership – dichiara Bergamaschi - ha permesso a Seven Gravity di valutare in cinque anni oltre 60 artisti spesso esordienti e provenienti dalle migliori accademie d’arte di tutta Europa".

L’edizione 2019 di VISIO Young Talent Acquisition Prize, che come ogni anno avviene attraverso una open call alla quale partecipano oltre cento artisti, ha nominato vincitore l’inglese Peter Alan Banfield con "Mein Blick (My View)del 2017. L’opera (i prezzi delle opere dell’artista oscillano tra 5 e 15 mila euro) è un’installazione di realtà virtuale, attraverso la quale, una volta indossato il visore Oculus Rift, si è circondati per 10 minuti da un archivio di video molto eterogenei, tutti realizzati dall’artista: dalle immagini di alcune proteste sotto la Trump Tower, a filmati intimi e privati di un’amica, a riprese di droni della vecchia architettura mineraria della Ruhr. L’impossibilità di sottrarsi alle immagini e l’incalzante colonna sonora ambisonica rafforzano l’esperienza immersiva, che diventa a tratti alienante.  L’opera è un flusso di coscienza digitale che ben riflette il bombardamento di immagini e contenuti video a cui siamo tutti sottoposti quotidianamente.

Miguel Azuaga, Katharsis, 2019, Courtesy l’artista, fotografia di Federica Di Giovanni

La mostra “Moving Images After Post-Internet” che quest’anno torna negli spazi di Palazzo Strozzi, è curata da Leonardo Bigazzi ed espone i lavori di 12 artisti internazionali under 35 selezionati dal curatore per rappresentare uno sguardo sul fenomeno post-internet e sull’influenza della rivoluzione digitale nella pratica artistica.

"Le peculiarità di questa ultima edizione, che ha visto numerose application" ci spiega Leonardo Bigazzi "è voler dare voce a quella generazione di artisti che ha vissuto la cosiddetta condizione post-internet negli anni di formazione, dirottando l’attenzione sulla risultante eredità e le radici di un potenziale superamento".

"Le opere selezionate – prosegue Bigazzi - affrontano temi fondamentali del nostro tempo, come la normalizzazione della violenza, l’identità di genere, le politiche dei confini, la privatizzazione della conoscenza, il limite tra reale e virtuale, il valore della memoria, la relazione tra uomo e animale e il senso di precarietà costante dell’esistenza. Si ritrovano elementi tecnici e concettuali tipici delle pratiche post-internet, come l’uso di realtà virtuale, immagini CGI, videogiochi e video appropriati dalla rete. Ma ci sono anche artisti che concettualmente hanno deciso di distanziarsi da questo tipo di estetica, usando un linguaggio più cinematografico, film in pellicola e found footage".