03/10/2020 | Maria Adelaide Marchesoni

Un architetto collezionista

Massimo Adario colleziona insieme a Dimitri Borri opere d'arte che si relazionano con lo spazio, la luce e i materiali

Architetto, studioso di storia dell’arte e appassionato d’arte contemporanea, Massimo Adario vive a Roma, ma spesso si rifugia a Venezia, nella sua casa a due passi da Campo Santa Maria Formosa. La passione per l’arte è condivisa con Dimitri Borri, con cui effettua quasi tutti gli acquisti e porta avanti un continuo scambio di idee e opinioni.

Quando e perché ha iniziato a collezionare?

È avvenuto un po’ per caso. Dimitri ed io avevamo dei cari amici che erano nel mondo dell’arte e tramite loro abbiamo cominciato a scoprire che, oltre a mostre e musei, c’era un mondo di gallerie, collezioni private, progetti curatoriali, in cui il coinvolgimento era meno istituzionale e poteva diventare più personale. A quel punto abbiamo cominciato a comprare piccole opere senza una progettualità. Sempre di più ora stiamo cercando di creare dei collegamenti tra le opere in collezione e i nuovi acquisti, con l’intenzione di stabilire una relazione con lo spazio in cui l’opera viene inserita.

Francesco Ardini, Convivium, 2013

Qual è il focus della collezione?

La collezione è in divenire e il focus si sta configurando acquisto dopo acquisto. All’inizio non ci siamo posti il problema, non avevamo un’idea specifica, mentre ora cerchiamo di scegliere non solo in base all’emozione, ma anche ad altri criteri. Nel tempo la collezione è diventata più meditata, più concentrata, cerchiamo di creare un filo conduttore tra le opere basato più sull’idea che sugli aspetti solo formali. Fondamentale, però, per noi è l’opera in relazione al luogo dove viene messa. Come architetto non riesco a prescindere dalla relazione con lo spazio, la luce e i materiali che la caratterizzano.

Il linguaggio artistico che l’appassiona maggiormente?

Senza dubbio i linguaggi tradizionali: la pittura, la scultura e il disegno. Dimitri ed io non ci siamo mai avvicinati ai video, né ad opere che non si potessero vedere e toccare, anche perché il nostro interesse è per la materialità dell’opera.

Gianfranco Baruchello, More news in a moment but first this message, 1968

Isabella Ducrot, Abito Oro, 2017

Martin Soto Climent, Mercurio Fulminante, 2018

Cosa significa “collezionare”?
È sicuramente un percorso, iniziato da poco, che sempre più ha a che fare anche con il mio lavoro. Relazionarmi con un’opera e anche con un artista apre nuove possibilità, il processo creativo di un artista è difficilmente lineare e prevedibile e questo ambito di possibilità, non del tutto valutabili, ha stimolato molto il mio lavoro. Inoltre, può avere contemporaneamente più significati, dal più semplice desiderio di possesso alla possibilità di innescare un processo di collaborazione con un artista in un progetto specifico pensato appositamente per un luogo.

Può fare un esempio?
Nel 2019, da una serie di incontri con l’artista Andrea Sala, ha preso le mosse il progetto “The Good Life” con l’intento di indagare un campo di comune interesse, ossia lo spazio pensato non solo come entità fisica, ma anche come luogo di interazione con l’uomo, complesso di corpo, spirito e attitudini sociali. Al progetto hanno collaborato anche gli artisti Salvatore Arancio e Carlo Gabriele Tribbioli e la Schiavo Zoppelli Gallery di Milano.

L'appartamento di Santa Maria Formosa con le opere di Giorgio Andreotta Calò e Gianfranco Baruchello

Giorgio Andreotta Calò, Medusa, 2015

Giorgio Andreotta Calò, Medusa, 2015

Cosa la colpisce in un'opera?

Dipende molto dalla situazione, dal momento. Possono essere diverse cose, personalmente non c’è un aspetto preponderante. Può essere un’opera all’interno del percorso di un artista, il suo significato, oppure il suo aspetto formale. Preferiamo collezionare opere che non sono state prodotte in uno specifico momento, bensì in un lasso temporale più ampio e indefinito, che hanno generato collegamenti formali o concettuali.  Le opere devono esprimere un aspetto concettuale e formale molto forte ma che convivono in maniera equilibrata all’interno dell’opera.

Un acquisto impulsivo?

Tanti.... forse troppi!

Un acquisto meditato?

Il dittico di Gianfranco Baruchello.

Un acquisto mancato e per quale motivo?

Un feltro di Vincenzo Agnetti. Comporterebbe, purtroppo, uno sforzo economico eccessivo.

L'installazione di Francesco Simeti nell'appartamento di Via de' Bardi

Miriam Cahn, o.t., 07+08.01.2013, 2017

Miriam Cahn, o.t., 21.8.01, 2017

Francesco Simeti, Karvansay, 2017, installazione site-specific

Le piace conoscere gli artisti? Può esistere un legame con l’artista oltre al possesso dell’opera d’arte?

All’inizio ho evitato. La cosa mi imbarazzava, non riuscivo a creare un dialogo. Con il tempo questo atteggiamento è decisamente cambiato e ora trovo il fatto di conoscerli sempre più determinante.

 Tra i protagonisti del mondo dell'arte che ha conosciuto, ci racconta qualche aneddoto?

Probabilmente quando ho incontrato Gianfranco Baruchello in un ascensore del Maxxi. Avevamo da poco preso il dittico e glielo dissi. Lui fu molto incuriosito, io riuscii  a balbettare  solo qualche stupida frase...

Opere di Gianfranco Barruchello, Rodrigo Hernández e di Irma Blank nell'appartamento di Santa Maria Formosa

Lauren Keeley, By the fire, 2015

Irma Blank, Ur-schrift ovvero Avana-Testo, 17-10-2000, 2000 e Radical Writings, One way, 1991

Come ha reagito durante il lockdown? L’arte l’ha aiutata a superare l'isolamento, oppure c’è stato un distacco?

C’è stato un deciso distacco. Non poter vedere un’opera dal vivo è decisamente un limite.

Usa i social network?

No, non mi interessano.

E che rapporto ha con il tema del prestito di opere d'arte?

È un aspetto a cui  per ora sono molto lontano, non saprei dare una risposta. 

Garth Weiser

Yonatan Vinitsky

Installazione site-specific di Francesco Simeti nella camera da letto dell'appartamento di Santa Maria Formosa dal titolo Karvansay, 2017

Massimo Adario

David Maljkovic, All Day AllYear, 2016, Courtesy: Massimo Adario e Dimitri Borri, t293