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Collezione Rabaglia

Monica Rabaglia è psicoanalista, cofondatrice e consigliere di un’associazione che si occupa del trattamento e studio dei disturbi di personalità (PDlab)

Qual è il tuo primo ricordo legato all’arte? Com’è nata questa passione?

Ho sempre avuto una propensione al collezionismo e un’attrazione per le arti visive, ma la mia conoscenza della storia dell’arte si fermava agli anni 70. È stato con l’edizione di Frieze del 2006 che mi sono avvicinata e ho scoperto l’arte contemporanea internazionale. È stata una folgorazione, l’apertura su un mondo che non mi ha più abbandonato.

Qual è la prima opera che hai acquistato? E l’ultima?

La prima opera è stata “Clowd and Clown” di Roni Horn, espressione dell’interesse dell’artista e mio verso contenuti relativi al concetto di identità, mutabilità dell’esperienza e memoria. L’ultimo, un lavoro di Paolo Icaro, “Mappa”, esposto alla GAM di Torino nel 2019. Mappa non come luogo fisicamente circoscritto, ma concettualmente aperta a infinite proiezioni della propria memoria.

Miriam Cahn, Wildnis, 1990- 23.01.1999

Qual è il fil rouge della tua collezione?

Ogni scelta parla della persona che la compie. Le mie sono inizialmente legate al concetto di identità e in modo particolare all’identità femminile, orientandomi poi nel tempo verso temi politici e socioculturali contemporanei, non necessariamente europei o occidentali.

Ma queste sono considerazioni che non hanno preceduto la ricerca, bensì sono state fatte a posteriori, perché la bellezza e l’emozione del collezionare per me sta soprattutto nella scoperta di immagini e di artisti. L’incontro con un’opera d’arte porta spesso con sé qualcosa di indecifrabile che va oltre ad una comprensione meramente cognitiva, che non possiamo prevedere e che nel migliore dei casi è più un incontro con una parte di noi stessi che con l’oggetto in sé.

In un secondo tempo viene lo studio e l’approfondimento, perché qualunque sia lo stimolo iniziale l’opera deve avere un forte significato.

Miriam Cahn, Am Strand, 2015

Dove sono esposte le opere?

Mi piace vivere circondata dall’arte, quindi nella casa dove vivo e in parte nello studio dove lavoro. Alcune, purtroppo, sono nelle casse in attesa di essere esposte.

Ci sono dei mezzi espressivi che ti interessano in particolare?

Amo in modo particolare il disegno e la scultura. Posso dire di non aver acquistato pittura per molto tempo considerandola da un lato meno espressiva di uno spirito contemporaneo e dall’altro è anche vero che i pochi pittori che mi piacevano erano, anche se giovani, troppo costosi. Adesso che ne vedo così tanta la guardo con molta più attenzione.

Kiki Smith, Woman on Pyre, 2001

Hannah Wilke, Yellow, 1977

Joan Jonas, Ashley, Performance Drawing, My body II, 2003

A quali artisti sei particolarmente legata?

Tacita Dean, i suoi video sono fra i più belli e poetici che abbia mai visto. Louise Bourgeois, una grande artista che lavorando sui suoi conflitti e traumi infantili ha dato forma alla sofferenza e alla complessità dei rapporti umani. Due uomini: Simon Starling e Pierre Huyghe.

Segui gli artisti emergenti?

Ammetto di avere qualche difficoltà con i giovani artisti, spesso gestiti come oggetti di investimento. Trattare l’arte come un pacchetto azionario, acquistando quando le quotazioni sono basse e vendere i lavori in rialzo, a breve può anche funzionare, ma nel lungo periodo può compromettere seriamente la loro carriera. Più spesso mi ritrovo a guardare e studiare artisti ignorati dal mercato.

Raymond Pettibon, The universe transformed, 2005

Paolo Icaro, Mazzo, 1998, gesso e vetro, 90x15x12 cm, fotografia M. Sereni

Un artista del passato che inviteresti a cena?

A cena senza dubbio con Marcel Duchamp: ha elevato l’anormalità, intesa come rifiuto di qualsiasi norma, a pratica sia di arte sia di vita. Con lui immagino una serata piena di sorprese. Posso aggiungere anche un pranzo con Louise Bourgeois?

Sophie Calle, The chromatic diet, 1998

Miroslaw Balka, Untitled, 2007

Sophie Calle, L'amnesie, 1992

Monica Rabaglia