Lugano | Switzerland

Collezione Sanvido

Cinzia Sanvido, private banker

Com’è nata la tua collezione?

Ho cominciato per caso dopo che nel 1997 ho accompagnato una persona a Venezia alla galleria Il Capricorno di Bruna Aickelin, che purtroppo è mancata di recente, e mi ha incuriosito. L’anno dopo ho iniziato a frequentare la galleria, andavo tre o quattro volte all’anno, e ho comprato la mia prima opera, un dipinto di Miltos Manetas. Un’opera molto semplice, che possiedo tuttora e non mi stanca. Forse ora, dopo 22 anni, non la comprerei perché i gusti si affinano, però sono contenta di averla. Da Bruna ho imparato tanto e ho conosciuto tante persone che sento e vedo ancora oggi e con cui sono nati degli scambi. Frequentando la galleria ho iniziato anche ad andare in fiera, dopo che qualcuno, durante un vernissage, mi ha proposto di andare ad Artissima.

Come si è evoluta la collezione?

Allora mi facevo guidare dalle emozioni, mi piaceva e compravo. Oggi questo rimane ancora un aspetto importante, ma ora voglio approfondire, vedere se mi piace tutta la produzione dell’artista o, meglio, se mi interessa il suo messaggio. Oggi il mio modo di collezionare è molto più riflessivo. Ho iniziato a focalizzarmi su alcuni artisti e vorrei continuare così, perché non voglio avere un’opera e basta, voglio avere un gruppo di opere per comprendere la poetica dell’artista.

Miltos Manetas, “Autumn with controller”, 1998, olio su tela

Preferisci l’acquisto in galleria, in fiera, oppure online?

Preferibilmente in galleria, perché posso approfondire il lavoro dell’artista, posso vedere anche lavori precedenti. Nelle fiere compro perché lavorando a tempo pieno la fiera mi permette concentrazione e di vedere più opere e gallerie possibili. Art Basel è quella che frequento da più di venti anni ed è difficile che ritorni a casa senza niente. Mi piace molto anche Artissima. Sul web mi è capitato solo una volta di comprare. Ho bisogno di vedere l’opera dal vero per apprezzarne la profondità e i colori. Certo, adesso che tutto è chiuso per il Coronavirus sono molto informata perché tutte le gallerie propongono viewing room e video, è un ottimo modo per rimanere aggiornati, ma spero che la galleria torni ad essere il mio punto di riferimento. Già in passato tante gallerie medio-piccole hanno dovuto chiudere, spero che oggi sopravvivano a questa crisi.

C’è un’opera che ti ha aiutato durante il lockdown per il Coronavirus?

Sul terrazzo ho una scultura di Bettina Pousttchi, un’artista tedesca di origini iraniane che vive a Berlino e mi piace molto. Lei si appropria di materiali di uso comune che vediamo per le strade, ridà loro forma e senso e li tinteggia, in questo caso due piccoli pali che sembrano due persone che si abbracciano. Mi dà speranza per il futuro, affinché si ritorni presto ad abbracciarsi.

Carol Rama, “Rainbow”, 2002, olio e tela di zaino su tela

Carol Rama, “Capricci”, 2004, tecnica mista e collage su tela

Qual è una mostra che hai apprezzato di recente?

Sono stata a Parigi all’inizio dell’anno e ho visto quattro mostre che mi sono piaciute molto. La prima, Kiki Smith a La Monnaie, una bella retrospettiva in una location molto bella. Poi al Pompidou ho visto una bellissima mostra di Boltanski, un artista non facile poiché affronta sempre temi come la memoria e la morte. Tuttora quando ripenso alla mostra la sento dentro di me. Poi ho visto una mostra di Francis Bacon e, infine, una mostra diversa dal solito, dedicata alla famosa designer francese Charlotte Perriand alla Fondation Louis Vuitton. Mi è piaciuta perché hanno ricostruito delle ambientazioni con i suoi mobili mettendoli in dialogo con opere di artisti che lei frequentava e anche con delle sue fotografie artistiche in bianco e nero. Poco prima del lockdown ho avuto anche la fortuna di andare ad un vernissage da un giovane gallerista qui a Lugano che si chiama Daniele Agostini e ha un bel programma di giovani artisti. Alle volte anche a Lugano succedono cose interessanti.

E un viaggio che hai in programma?

Sto programmando di andare in Giappone. Ci sono già stata dieci anni fa, ma questa volta sarà un tour all’insegna dell’architettura e dell’arte contemporanea.

Kiki Smith, "Girl with glitter nr. 6", 2000, inchiostro, colla e glitter su carta nepalese

Charles Avery, "Theodora/Dorothea", 2006, gesso, e "Mr. Impossible", 2006, gesso, acrilico, lana di pecora

Charles Avery, "Bather in the Memory of Conchious-Ness", 2017, acrilico, inchiostro, e matita su carta montata su tela

Quali sono alcuni degli artisti che hai deciso di approfondire nella tua collezione?

Uno di loro è Charles Avery, che ho scoperto tramite la Galleria Sales e poi Sonia Rosso a Torino. Ho preso dei disegni, un mezzo espressivo che mi piace molto, e poi delle sculture, “Dorothea” e “Mr Impossible”. Da anni Avery lavora su un’isola utopica che si è inventato e la sta popolando adagio adagio di persone e animali. Le uova sono un elemento sempre presente.

Charles Avery, "Meta child and Atomist child having a balancing competition", 2009, matita e acrilico su carta

Charles Avery, "Three men and a dog sucking", 2007, matita su carta

Un’altra artista che seguo è la svizzera Heidi Bucher, scomparsa nel 1993. Durante la sua vita ha vissuto un po’ all’ombra del marito, che in Svizzera è stato un artista molto conosciuto. Poi all’inizio degli anni 2000 hanno cominciato a rilanciarla. Ora lavora con The Approach Gallery e Lehmann Maupin, all’ultima Biennale di Venezia c’erano esposti alcuni suoi grandi lavori. Lei applicava dei teli sulle pareti di casa dei genitori con un collante, li lasciava a rapprendere in modo che tutte le sfumature delle pareti venissero evidenziate sul tessuto, e poi lo staccava e lo immergeva nel lattex con la madreperla. Una sorta di fotografia ma con un materiale diverso.

Ho anche delle piccole sculture di Ariel Schlesinger, un artista sui 40 anni che in Italia è rappresentato da Massimo Minini. L’ho incontrato di persona due anni fa ad un vernissage a Brescia ed è una persona molto divertente. Mi piacciono anche le sue tele bruciate. In questo caso si è ispirato alle pietre di inciampo che si trovano in tutte le città europee, mi piacciono perché non sono perfette, lui le ha lavorate con il fuoco, che fa sempre parte della sua produzione. Una mia interpretazione è che il fuoco è un modo per bruciare e far rinascere qualcosa di nuovo, come fanno i contadini quando bruciano il terreno per renderlo fertile.

Heidi Bucher, "Untitled", 1979, Linseed oil, graphite, nacre on paper (Frottage), 120 x 80 cm

Heidi Bucher, "Untitled", latex, dimensioni con cornice 60 x 52 cm

Ti piace conoscere gli artisti?

Assolutamente si, perché vedo le opere con altri occhi. Mi è capitato di comprare senza conoscere l’artista di persona, seguendo il suo percorso attraverso la galleria, ma quando lo conosci ti lascia qualcosa in più, perché ti racconta le sue sensazioni. Può succedere anche il contrario: una volta mi è capitato di incontrare un’artista americana a cui ho chiesto di spiegarmi il suo lavoro e lei mi ha risposto che non le interessava spiegare il lavoro, ma vendere. Da lì l’ho cancellata. Ecco incontrare l’artista per me è importante, può significare l’acquisto del lavoro, oppure la rinuncia all’acquisto.

Qualche altro artista che segui?

Anna Maria Maiolino, un’artista molto nota, l’ho conosciuta tramite Raffaella Cortese che sicuramente è una ottima galleria con artisti eccezionali. Ho diverse opere tra cui un piccolo lavoro che mi piace molto, perché c’è un uovo che non si capisce se cade o no, se è in equilibrio o no.

Anna Maria Maiolino, dalla serie “Fotopoemaçao” - De…………Para, 1974-2010

Anna Maria Maiolino, "Sim titulo", 1981, dalla serie “Vida Afora”

Anna Maria Maiolino, "Sim titulo", 2014, dalla serie “Filogenédicos”, acquarello acrilico

Mac Adams è un artista di origine inglese, che vive e lavora negli Stati Uniti. È stato un colpo di fulmine intorno al 2006 a Basilea dalla galleria gb agency di Parigi. L’opera appartiene alla serie “Mistery”, realizzata dall’artista andando nei commissariati di polizia a leggere i verbali dei delitti, e poi ricreando la scena e scattando la fotografia, spesso come dittico o trittico.

Mac Adams, "The Palm", 1978

Mac Adams, "The Palm", 1978

Marc Bauer è un artista svizzero che vive a Berlino. Seguo molto il mercato svizzero. Era rappresentato da Jean Claude Freymond-Guth e ora da Peter Kilchmann, il disegno è il suo forte. Alla fine dell’anno scorso ha avuto una mostra al Centro Svizzero di Milano ed era presente anche al Miart con disegni degli sbarchi degli immigrati. È un artista anche abbastanza politico.

Mi piace anche Miriam Cahn che è un’artista svizzera molto conosciuta.

Marc Bauer, "Untitled (portrait)", 2012, matita grigia su aluminio

Ci sono mezzi espressivi particolarmente rappresentati nella tua collezione, o al contrario assenti?

Assenti i video. Mi piacciono, però a me piace vivere immersa nell’arte che acquisto e il video ha il limite che devo installarlo. Ho iniziato con la pittura e qualche acquarello, poi sono passata al disegno, che mi piace molto e ho parecchi disegni, e poi la fotografia, anche se all’inizio questa non entrava nella mia idea di collezione. Adesso queste tre tecniche sono molto presenti, ho anche qualche scultura e qualche lightbox.

Qual è il criterio con cui scegli un’opera o un artista?

Sicuramente il messaggio che mi dà la sua opera. A volte l’interesse è molto intuitivo ed emozionale, poi se c’è un riscontro anche fisico approfondisco e acquisto. Non ho mai pensato se un’opera appartenga o meno alla mia collezione, anche se poi, chi viene a vedere, riconosce un fil rouge. Per me è più difficile da riconoscere, ma certamente il corpo umano è sempre presente.

Kiki Smith, "Eve", 2001, chromogenic color print - ed. 3/3

Kiki Smith, Io (standing), 2005, porcellana, ed. 4/13

Chi è stato il tuo mentore?

Sicuramente Bruna Aickelin. Per molti anni ho frequentato la galleria, da lei e dalle persone che ho conosciuto tramite lei ho imparato molto. Adesso faccio riferimento ai galleristi con cui mi sento in sintonia. Devo dire che sono abbastanza decisionista, non ho bisogno di chiedere conferma se sono convinta.

Perché hai scelto di iscriverti a Collective?

Una gallerista amica mi ha suggerito questa associazione, poi ho scoperto che la Presidente è la moglie di un mio ex collega che vedevo spesso in giro per le strade dell’arte. Ho scelto di iscrivermi perché trascorrere del tempo con delle persone che hanno la tua passione è molto più arricchente che trascorrerlo con qualcuno che ti trascini dietro ma che non ha interesse per l’arte. Può diventare molto pesante. Mi piace anche essere condotta a vedere una mostra o una collezione. Mi riossigeno molto in queste occasioni.

Cinzia Sanvido